Nelle scorse settimane la notizia di un “crollo” nella zona di via Fiorentini ha destato più di qualche preoccupazione, soprattutto alla luce di quanto accaduto in via Piave poco più di un anno fa. In realtà non è crollato nessun palazzo, né ci sono rischi in proposito. Si è trattato di un leggero cedimento (al momento del tutto sotto controllo e in corso di riparazione) all’interno di un edificio che poggia in parte su una struttura ipogea risalente, al più tardi, agli anni ’20. Questa, a sua volta, si imposta su quello che può considerarsi una delle più importanti testimonianze della Matera più antica, invisibile nella città contemporanea, ma che ne ha dettato lo sviluppo e le soluzioni urbanistiche dalle forme proto-urbane a quelle più recenti. Questo eccezionale documento, esclusiva di sassitour / Spazio: 2019 ne rivela l’aspetto.
https://www.youtube.com/watch?v=Cr8iY8fkVG8&feature=youtu.be
Quello che si vede sembrerebbe nient’altro che una fogna, e in sostanza lo è: raccoglie gli scarichi provenienti dalla strada e dagli edifici circostanti. Dal punto di vista storico, tuttavia, è molto più di questo.
Molti materani sanno che la viabilità principale nei Sassi, per come la vediamo ancora oggi, risale all’epoca dei famosi “treni in orario”. Forse sono in meno a sapere che le strade che attraversano centralmente i due Sassi (via Fiorentini/via S. Antonio Abate e via Bruno Buozzi), convergendo verso via Madonna delle Virtù, ricalcano il corso dei due cosiddetti “grabiglioni“. In origine si trattava di piccole lame dal profilo poco accentuato, alimentate dalla stessa falda acquifera che, a monte, era incanalata dalla collina del Castello verso il Piano della Fontana (dove tuttora si trova la fontana Ferdinandea). Il primo proseguiva la sua corsa da qui verso il Barisano, lungo l’attuale via Fiorentini; il secondo, invece, scorreva lungo l’attuale via Bruno Buozzi. Agli albori dell’abitato, all’epoca dei “giardini di pietra” tanto cari all’architetto Pietro Laureano, i due torrenti dovevano conferire all’insieme un carattere ancor più bucolico, oltre che a fornire acqua per gli usi più svariati. Tale quadro si è mantenuto probabilmente fino al Medioevo, quando le valli verdeggianti dei Sassi descritte da Muhammad al-Idrisi nel XII secolo ospitavano un insediamento ancora piuttosto sparso, per lo più concentrato attorno ai casali rupestri e ai luoghi di culto benedettini.
Con il costante aumento della densità abitativa, tra l’età moderna e quella contemporanea, i due grabiglioni si trasformarono gradualmente in collettori delle acque di scolo e, almeno in parte, dei rifiuti solidi e liquidi prodotti nei due rioni, contribuendo così al degrado igienico-sanitario degli stessi. Terminati gli spazi lungo le pareti delle valli entro cui ricavare ambienti ipogei, coloro che, esclusi dall'”enclave” della munitissima Civita, potevano permettersi la costruzione di edifici in elevato, andarono ad occuparne il fondo, specie nel Barisano. In particolare, tra le vie Fiorentini e Lombardi, che si sviluppano nel punto più stretto e profondo della valle del Barisano, alcuni edifici si impostarono a cavallo del grabiglione, che dunque già molto prima degli anni ’20 dovette essere in parte incanalato e coperto. Non conosciamo, ad ora, il momento in cui quest’area iniziò ad ospitare strutture interamente sub divo, ma possiamo quantomeno stabilire un terminus ante quem nel 1875, data cui risale la pianta catastale, molto dettagliata, di cui presentiamo qui uno stralcio per gentile concessione dell’Ufficio Tecnico del Comune di Matera.
Nel cerchio blu le strutture edificate direttamente sull’alveo del grabiglione. Sotto una di esse si è verificato il cedimento di un tratto del rivestimento del canale documentato nel video. In effetti, intorno alla metà dell’800 la curia, in particolare nella persona del celebre mons. Di Macco, si era adoperata nel finanziare alcune opere di interesse pubblico, tra cui il ripristino della canalizzazione della falda che alimentava la fontana sul Piano e la realizzazione di un acquedotto a servizio degli abitanti del Caveoso. Il testo da cui abbiamo appreso la notizia (Fonseca, Demetrio, Guadagno 1998) non menziona l’intervento nel Barisano, ma potrebbe essere un’ipotesi plausibile. D’altro canto, bisogna considerare l’uso del cemento, piuttosto grezzo in verità, usato per il fondo del canale, i cui lacerti scalzati dall’azione dell’acqua sono ben visibili nel video. Nel 1911 fu realizzato un rilievo completo del grabiglione del Sasso Barisano da parte del genio civile (visibile nell’immagine all’inizio dell’articolo, gentile concessione dell’Ufficio Tecnico del Comune di Matera), probabilmente in preparazione dei lavori completati nel decennio successivo. La pianta è accompagnata da numerose sezioni, tra cui spiccano quelle relative alla parte voltata su via Fiorentini, che risulterebbe dunque già in essere in quella data.
Dallo stralcio cartografico ottocentesco si possono anche notare i numerosi attraversamenti, alcuni dei quali carrabili a giudicare dall’ampiezza, che consentivano il passaggio da un lato all’altro del torrente. Lo stesso si può verificare osservando la parte relativa al Sasso Caveoso (che sarà oggetto di un articolo in futuro), dove però il grabiglione scorreva all’aperto per l’intero percorso. Appare curioso che non si sia conservata traccia dei numerosi “ponticelli” nella toponomastica locale, ad eccezione della via “Ponte San Pietro Caveoso” che risale da via Buozzi verso il Piano e del c.d. “Ponticello” che scandisce l’ingresso nel vallone del Barisano a partire da Piazza Vittorio Veneto. Eppure sicuramente molti di essi avevano un nome: nell’immagine a sinistra (disponibile, insieme a numerose altre tra cui immagini del grabiglione del Caveoso e di via Madonna delle Virtù, sul sito del MUV Matera), datata 1905, lo scomparso Ponte di Noia su via S. Antonio Abate. Sarebbe suggestivo segnarne la posizione su modello dell’iniziativa del Lions Club relativamente alle porte urbiche.
Fu dunque negli anni ’20 che si avviò la definitiva sistemazione dei grabiglioni, il cui alveo fu approfondito e dotato di una copertura di tufo voltata, sulla quale furono impostate le nuove strade; il tunnel del Sasso Barisano aveva un accesso, oggi murato, alla confluenza tra via Fiorentini, via Rosario e via Lombardi. Ancora nell’ottobre del ’35, tuttavia, con via Madonna delle Virtù inaugurata da lì a qualche mese dallo stesso Mussolini, Lidia Levi raggiunse la Madonna dell’Idris percorrendo una “mulattiera” che passava sui tetti delle case (Cristo si è fermato a Eboli, cap. IX). Difficile pensare all’attuale via Buozzi, tortuosa ma ampia, quanto piuttosto al percorso più antico composto da via Liceo – via delle Conche – via Purgatorio Vecchio. La strada, dunque, forse non era ancora pronta. Oppure non era segnalata a chi proveniva dal piano, determinando una carenza nella segnaletica “turistica” che qualcuno lamenta ancora oggi.
Per approfondire: C. Fonseca, R. Demetrio, G. Guadagno, Matera, Bari 1998; L. Sacco, Matera contemporanea, Matera 1982; P. Laureano, Giardini di pietra, Torino 2012(3); C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino 1945.
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